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la regina Teodolinda con il re Autari
Il Lambro: la leggenda di Autari.   (pag. 1)

Autari è stato un re Longobardo, non era cristiano ma pagano. Al coraggioso re arridevano la fortuna, la ricchezza e gli onori. Nonostante fosse molto giovane, Autari aveva vinto tante battaglie costruendosi uno stato sempre più grande, ma non aveva su di se e sulla sua gente la protezione del cielo.
La regina Teodolinda (sua sposa), invece, era cresciuta nella regola di Cristo, ed era pia e devota. Confortata dalle parole del papa Gregorio Magno, la sovrana non disperava di poter, un giorno, convertire il suo sposo. Purtroppo però i mesi passavano senza che Autari desse segno di voler abbandonare il paganesimo dei suoi avi.
Nella reggia di Pavia la regina pregava ogni giorno Dio, affinchè l'aiutasse a trovare le parole per convincere il sovrano ma, fino a quel momento, tutti i tentativi vi erano risultati vani e a niente erano valse le sue lacrime segrete.
Così Dio pensò di punire quel caparbio re che tanto si opponeva alla sua conoscenza e si rifiutava di abbracciare la religione cristiana.
Per sfuggire Pavia, con il suo clima gravato dalle nebbie del Ticino, il re e la sua corte trascorrevano parte dell'anno nella più mite Brianza.
Questa terra era la prediletta dai sovrani e la presenza della famiglia reale aveva fatto di questi luoghi un'isola veramente fortunata.
La rigogliosa Brianza si alzava in alture piene di boschi e foreste e sprofondava in burroni irti di rocce e si estendeva in colli ingentiliti dalle vigne e in grandi campi di grano. Ridenti città e villaggi operosi punteggiavano la fertile landa che era cinta a nord da alti monti, ai piedi dei quali si trovavano i laghi azzurri, come specchi rotti in mezzo ai prati verdi. Il Lambro era la grande ricchezza di questa terra: gonfio di acque copiose e fresche e ricco di pesci, il fiume l'attraversava da nord a sud, dividendola in due bande verdeggianti.
In quell'anno lontano, sul principio dell'estate, il re e la regina si trovavano nel loro palazzo di Monza, quando il fiume Lambro, che lambiva proprio i bastione della reggia, inaridì e si prosciugò all'improvviso.
Ad uno ad uno si prosciugarono anche i torrenti, i ruscelli, le roggie e i rigagnoli di tutta la Brianza, trasformandosi in alvei riarsi e sassosi.
Gli stagni e le marcite si asciugarono, i laghi, in men che non si dica, diventarono grandi voragini disseccate, ricolme di pesci morti.
Il sole, che sembrava non tramontare mai, bruciò rapidamente boschi e campagne. Un caldo asfissiante, come da secoli non si sentiva, arroventò la Brianza, gettando nello sgomento gli abitanti di casali e borgate, che invano fuggivano a destra e a manca, in cerca di un po' di refrigerio.
Il popolo si impressionò e si spaventò sopratutto per la perdita del fiume: il Lambro era l'anima della terra brianzola, che senza di lui, ora, non aveva più vita. Le greggi non trovavano più neanche una pozzanghera per abbeverarsi e morivano di sete. Gli uomini temevano di morire anche loro come le bestie e pregavano a gran voce Dio, supplicando il suo aiuto per vincere quell'improvvisa calamità che sembrava li stesse prostrando senza possibilità di salvezza.

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Bibliografia e riferimenti principali:
  - Liberamente tratto dall'autore del sito da pubblicazioni e libri reperibili presso la biblioteca della C.M.T.L.

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