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Rezzago: antica parrocchiale dei santi Cosma e Damiano                immagine panoramica

PIETRE CHE PARLANO

    Esistono pietre che parlano. Parlano perchè gli uomini le hanno fatte diventare bellezza per vivere la loro fede e costudire la loro storia di vita e civiltà. Così avviene per l'affascinante chiesa dei Santi Martiri Cosma e Damiano a Rezzago. Questo gioiello ci trasmette la solida bellezza delle chiese romaniche che i maestri comacini hanno saputo edificare , seguendo l'espansione della fede in Cristo nelle nostre terre.
Davanti a un monumento che ci parla di secoli di vita e di generazione di cristiani, ci piacerebbe poter ascoltare da queste pietre il racconto di quanto è accaduto alla loro ombra: le persone che hanno vissuto, le liturgie che sono state celebrate, le guerre e le pestilenze, le donazioni, i ritmi della vita e il lavoro.


    La chiesa è citata per la prima volta nel Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, attribuibile alla seconda metà del secolo XIII: "In plebe axio loco rezago ecclesia sancti damiani". Tuttavia notizie indirette più antiche possono essere dedotte dai reperti venuti alla luce nel corso degli scavi archeologici condotti nel 1982 sotto la direzione di G. P. Brogiolo, che consentono di collocare cronologicamente i resti della primitiva costruzione tra il V e il VII secolo.
In particolare sono state individuate due diverse fasi costruttive:
  • Una prima fase alto medioevale evidenziata dalla scoperta di un abside semicircolare sottostante l'attuale "con arco che ne restringe l'accesso". Contemporanea alla costruzione è la deposizione di una sepoltura al centro dell'abside con direzione E-W, testa a W; questa presenza è suscettibile di diverse interpretazioni: sepoltura del fondatore o di un personaggio oggetto di culto, ma pare chiaramente connessa alla costruzione della chiesa. Da uno strato ritenuto contemporaneo a questa sepoltura provengono frammenti di lucerna in vetro che forniscono un primo orientamento cronologico. Un'altra sepoltura, rinvenuta nella navata, è pure da ritenersi pertinente a questa fase.
  • Una seconda fase romanica, alla quale appartengono il campanile, l'abside quadrata e la navata principale, edificate dopo la demolizione del precedente oratorio paleocristiano.
La dedicazione ai Fratelli Medici non è strettamente collegabile a una epoca precisa o a una particolare dominazione, ma può spiegarsi solo con la devozione ai Santi Taumaturghi invocati nei periodi di pestilenze o di epidemie.

    Le vicende architettoniche dell'edificio possono essere così riassunte: la primitiva chiesa romanica, che Zastrow attribuisce al secolo XII, eretta sulle fondamenta di una presistente cappella altomedioevale con abside semicircolare, aveva una lunghezza di 15 braccia e una larghezza di 11. Presentava una curiosa planimetria a unica navata. L'abside di forma quadrata con lato di 10 passi è sopravissuta fino a oggi senza vistose modifiche. Sulla destra si trovava una finestra e il campanile con due campane. All'interno della cappella absidale "fornicata" e affrescata, in aggiunta all'altar maggiore, aveva posto l'altare intitolato a San Giovanni Battista che, oltre a essere mal decorato e senza dote, intralciava l'accesso al presbiterio.
La facciata dell'oratorio era coperta e riparata da una tettoia che formava un portico ricavato dalla sporgenza del tetto sostenuta da un muro a L che nascondeva la porta principale e terminava a sinistra con una parte laterale, nella quale si apriva una porta secondaria che dava accesso al portico, il quale fungeva quasi da pronao chiuso e coperto. Sotto il portico che riparava la facciata era collocato un sepolcro fuori terra. Il portico fu demolito in occasione del rifacimento della pavimentazione nel 1570.
Nel 1567 si iniziarono i lavori per la costruzione della sacristia che si protrassero fin quasi al 1584. In quegli anni la chiesa sembrava insufficente a contenere la popolazione che raggiungeva i 213 abitanti, per cui si può dedurre che fu ampliata mediante la costruzione di una seconda navata sulla destra (che si estende solo fino al campanile) ottenuta grazie allo sfondamento del muro e inglobando il portico che fu chiuso con un muro perimetrale. Tale navata è ancora chiaramente identificabile sulla facciata per la diversa disposizione dei conci. Valutando le decorazioni e la tecnica costruttiva si può facilmente dedurre che le due arcate di destra non siano coeve. Infatti la prima fabbricata in laterizi è affrescata, mentre la seconda che si regge su conci irregolari di pietra non è decorata. All'epoca la copertura del tetto doveva essere in lastre di pietra, come quella del campanile.
Ai lati dell'occhio grande sono attualmente murati due manufatti marmorei lavorati a bassorilievo, recuperati con ogni probabilità dalla parziale demolizione della primitiva chiesa romanica. Il frammento di sinistra non è purtroppo decifrabile, mentre quello di destra reca un'effige antropomorfa ed è databile al secolo XI.
All'interno del tempio non ci sono sepolcri ne pulpito. L'imgresso al campanile si apre nel presbiterio della cappella maggiore. La stessa cosa vale anche per la secristia che si presenta angusta e sottolivellata. Vi si accede scendendo due gradini di cemento. E' presente un'acquasantiera in serizzo, probabilmente l'antico fonte battesimale riutilizzato a tale scopo.


    Gli affreschi:   gli affreschi attualmente visibili all'interno della chiesa sono stati salvati negli anni '80 dal restauratore Rossi di Milano. Un cartiglio visibile sulla destra del presbiterio ad altezza d'uomo svela la paternità dei dipinti: "Iohannes Andreas De Passeris de Turno pinxit ". Il contratto di committenza popolare è datato 11 giugno 1505.
La grande crocefissione centrale, ricca di personaggi, è incorniciata da una fascia decorativa semicircolare. Alla sua estrema sinistra si riconosce San Damiano, il cui nome è ancora parzialmente leggibile, mentre dalla parte opposta compare San Cosma.
L'affresco della parete sinistra ci presenta la Pentecoste. In una tipica casa ebraica sono radunati Maria con gli undici Apostoli, sopra di loro lo Spirito Santo sotto forma di colomba invia i suoi raggi luminosi sui personaggi. All'esterno del "Cenacolo" è raffigurato San Paolo con un'insolita iconografia. Dallo stesso lato, in basso, si nota San Rocco, indi un santo Abate benedicente che tiene un libro nella mano sinistra. Più avanti si ravvisa Sant'Agata, con l'interposizione di una Madonna in trono. Sull'arco di trionfo si è conservato il ritratto di un benefattore /committente, al di sotto del quale si distinguono il profeta Abraam e Isacco a mezzo busto. Sul costolone dell'arcata laterale si fronteggiano invece Sant'Antonio Abate e San Rocco separati dal monogramma di San Bernardino.
Nelle quattro vele sopra l'altar maggiore sono rappresentati gli evangelisti, Sant'Ambrogio, San Gerolamo, San Gregorio Magno e Sant'Agostino, alcuni dei quali poco decifrabili.
Nella navata minore, a livello della parete di fondo, sono presenti alcuni lacerti colorati irriconoscibili. Alle spalle dell'antico fonte battesimale, nella seconda metà del secolo XVII, doveva essere stata affrescata la scena del "Battesimo nel Giordano", in ossequio alle disposizioni di Mons. C. Pezzano. Alle tracce della sbiadita sinopia è stata sovrapposta più tardivamente una raffigurazione di soggetto mariano.
Gli atti della visita di Federico Borromeo ci indicano invece chiaramente i soggetti dell'opera a fresco posta sopra l'altare della Madonna: "Loco iconis adest imago B. Virginis infantem filium in brachio gestantis [...] S.S. torum Bernardi et Jo.Baptae".

Non si hanno invece più notizie della "Pietà" lignea vista da Federico Borromeo sull'altare della Madonna nel 1615.
Infine la statua in legno policromo comunemente indcata come "Madonna delle Messi" potrebbe invece rappresentare Santa Eurosia, particolarmente venerata nella regione lariana come propiziatrice di buoni raccolti. Si ritiene che il culto di questa Martire iberica fu probabilmente introdotto dai dominatori spagnoli. Si ricorda anche che l'immagine di questa Santa compare a lato dell'altare nell'Oratorio di San Martino di Carella (Pieve di Incino); così pure porta il suo nome anche la via che lambisce l'ingresso dell'Oratorio medesimo.

Bibliografia:
  - il libro “Pietre che parlano”, a cura di Roberto Andreoni, ed. 2022 (ristampa).

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